Si tratta di un dolore non ciclico, che dura per più di 3 mesi, da almeno 6 mesi. Può essere localizzato alla pelvi, alla parete addominale anteriore, alla regione lombosacrale, talvolta ai glutei e spesso è tale da creare una disabilità funzionale. Può essere difficile da gestire, perché è spesso impossibile individuarne l’origine fisiopatologica. Il dolore pelvico cronico, infatti, è un sintomo, non una malattia, e raramente è riferito a una singola patologia, ma sono diverse le strutture pelviche e i disordini che possono contribuire al determinismo del dolore stesso. La sua origine può essere urologica, proctologica, ginecologica, gastrointestinale, muscolo-scheletrica, psicologica, postchirurgica.
Nella maggior parte dei casi è difficile trovare una base fisica per i sintomi. In questi pazienti assume un notevole rilievo l’aspetto psicologico. Lo stress, il pensiero negativo e catastrofico accrescono in maniera significativa il disagio e il dolore, influendo negativamente sulla qualità di vita. I dolori pelvici di tipo muscolare (miotensivi), secondo alcuni autori, rappresentano una malattia nella quale corpo e mente si incontrano nel Pavimento Pelvico.
Per quanto riguarda la prevalenza, non esistono dati epidemiologici certi, però sembra che le persone affette da dolore pelvico cronico siano circa il 15-25% della popolazione, e che tra questi pazienti il range di età oscilli tra i 18 e i 50 anni.
Diagnostica clinica
Molti di coloro che soffrono di dolori pelvici, di solito affermano di non avvertire un vero e proprio dolore ma disagio, crampi, pienezza, sofferenza, bruciore o altre sensazioni sgradevoli, che non riescono a descrivere con precisione. Sotto la terminologia di dolore pelvico cronico sono incluse numerose sindromi:
- - la sindrome dell’elevatore dell’ano;
- - il mancato rilasciamento del puborettale;
- - la contrazione paradossa del puborettale;
- - la proctalgia fugace (fugax);
- - la coccigodinia;
- - il vaginismo e/o la vulvodinia;
- - la sindrome uretrale e/o la prostatite cronica abatterica;
- - la nevralgia del pudendo.
Il dolore può avere intensità e frequenza variabili. Si va, per esempio, dal dolore sordo recidivante della durata di almeno 20 min (sindrome dell’elevatore dell’ano), al dolore anorettale acuto e improvviso, della durata di qualche istante, che regredisce spontaneamente (proctalgia fugace).
Non si può fare diagnosi di dolore pelvico cronico senza avere a disposizione i dati anamnestici completi. È necessario localizzare il dolore, capirne la causa e valutarne la durata, il tipo (contrattura, bruciore, formicolio) e l’intensità (determinata attraverso la scala visiva analogica). Ciò non basta però, perché bisogna anche indagare su eventuali sintomi come depressione, abusi sessuali, traumi, dispareunia. I pazienti vagano tra vari specialisti fino a diventare loro stessi “cultori della materia” e si pongono spesso in maniera critica di fronte all’approccio clinico di chi li esamina. Pertanto, la valutazione all’esame clinico non potrà che essere la più ampia e precisa possibile e comprendere:
- - l’esame posturale;
- - il test di forza e lunghezza muscolare;
- - la valutazione vulvare e anale;
- - la palpazione della regione pelvica (lunghezza, forza, consisten-za, trigger point);
- - la palpazione addominale;
- - la palpazione esterna dei muscoli pelvici;
- - la palpazione interna del muscolo piriforme e dell’otturatore interno.
Diagnostica di laboratorio e strumentale
Nel dolore pelvico cronico, la diagnostica di laboratorio non fornisce dati significativi.
La diagnostica strumentale sarà necessaria per escludere la presenza di alterazioni o patologie specifiche. La diagnosi di dolore pelvico cronico è, infatti, sostanzialmente di esclusione. Per questo motivo il paziente vive con sconforto l’iter diagnostico strumentale a cui deve sottoporsi, spesso senza alcun esito, e che prevede l’ecografia transanale, la defecografia dinamica, la risonanza magnetica pelviperineale, la valutazione dei tempi di transito intestinale e la manometria anorettale.